Anite di Tigea: una grande poetessa dimenticata


«Ad una cavalletta, usignolo dei solchi,
e ad una cicala, ospite delle querce,
tomba comune eresse Miro bambina;
e infantili lacrime pianse,
ché l'Ade cattivo fuggì con i suoi due balocchi.»
(AP, VII, 190)
ANITE DI TIGEA
Anite era nata a Tegea, in Arcadia, intorno al III secolo a.C., poetessa greca scrisse epigrammi ed epitaffi, componimenti di ispirazione epica, tanto che venne inserita da Antipatro di Tessalonica, poeta greco antico, tra le muse terrene, definendola "Omero donna". Molte fonti la mettono a capo di una scuola di poesie e letteratura nel Peloponneso e forse suo allievo Leonida di Taranto. Certo è che è considerata l'iniziatrice del filone epigrammico "dorico-peloponnesico", seguita poi da Nosside e Leonida. Di ei comunque si sa ben poco, tanto da dar vita alla proliferazione di stereotipi romanzeschi che, nel secolo scorso, la identificarono nella vergine cacciatrice e mascolina che viveva nei boschi. I suoi compatrioti le eressero una statua nel 290 a.C. Diciannove epigrammi. scritti in dialetto greco dorico, sono stati inseriti nel corpus dell'Antologia Palatina, mentre altri due sono di attribuzione incerta. I toni della sua poetica sono epici, ispirati alle leggende dell'Arcadia ma è ricordata soprattutto per la sensibilità dei suoi epigrammi funebri. A volta descrive vivamente la natura selvaggia, i paesaggi agresti. Fu la prima a sperimentare la commistione tra l'epigramma funebre e quello bucolico, creando epitaffi delicati nei quali racconta la morte ingiusta di animali, tema che viene ripreso anche da Catullo nel Carme III del suo Liber.
Una delle più grandi innovazioni introdotta da Anite fu la personalizzazione dell'epigramma: l'epitaffio passa dalla pietra alla letteratura trasformandosi in qualcosa di soggettivo. Tra le tematiche affrontate c'è anche l'attenzione per il mondo femminile, manifestata negli epitaffi dedicati a fanciulle decedute poco dopo le nozze.
«Piango la vergine Antibia. La brama di lei, pretendenti
spinse alla casa di suo padre a frotte,
per la nomea di beltà, di saggezza. La Parca funesta rotolò via, di tutti, le speranze»
(AP, VII, 490)
E' stata anche pioniera dell'epitimbio per animali, ovvero l'epitaffio per animali, con il quale ricorda con affetto i piccoli compagni defunti, un genere che avrà molto successo nella letteratura latina.
«Per un grillo, usignolo dei campi,
e per una cicala, abitante d'una quercia,
Miro fece questa tomba comune
bagnandola di caste lacrime infantili;
Ade implacabile d'improvviso le strappò
gli oggetti della sua tenerezza»
A.P., VII, 190
Probabilmente Anite si spostò dall'Arcadia perché in alcuni suoi epigrammi descrive molto bene la realtà marina quando descrive una statua che guarda verso il mare. Questo fatto la farebbe rientrare nelle "poetesse vaganti" che si spostavano da una città all'altra della Grecia per diffondere la propria arte.
«È sacro a Cipride il luogo, poiché fu caro a lei sempre
scorgere dalla riva il luccicante mare,
per dar felice la rotta ai navigatori:
dintorno trema l'onda alla vista della sua fulgente statua»
(AP, IX, 144)