Frine: un'etéra ad Atene

29.10.2025
Statua di Frine presso l'Achilleion di Corfù
Statua di Frine presso l'Achilleion di Corfù

Frine

Il suo vero nome era Mnesarete, in greco antico "colei che fa ricordare la virtù", bello e poetico meglio conosciuta col soprannome di Frine che in greco antico significa "rospo" e tutta la poesia va a farsi benedire. Era nata a Tespie nel 371 a.C. circa ed ivi deceduta dopo il 315 a.C. Era un'etera, una cortigiana, dell'antica Grecia. Celebre per la sua bellezza, poco tempo dopo la sua morte fu indicata dal commediografo Posidippo come "l'etera di gran lunga più celebre". Mnesarete era originaria di Tespie, una polis dell'Antica Grecia, in Beozia, una regione storica; forse la sua famiglia, di estrazione aristocratica, emigrò ad Atene nel 371 a.C., l'anno in cui Tebe distrusse Tespie e ne espulse gli abitanti, non molto tempo dopo la battaglia di Leuttra tra Spartani e Tebani. In base a un frammento del commediografo Timocle si può pensare che nella sua infanzia Frine, ridotta in povertà, trovasse sostentamento con la raccolta dei capperi e con gli aiuti economici dei suoi amanti. Già in questo frammento Mnesarete viene menzionata come Frine ("rospo"), soprannome che, secondo Plutarco, era stato scelto per il colore olivastro della sua carnagione, ed adoperato per nascondere il suo vero nome, imbarazzante data la professione esercitata. Galeno racconta che la sua bellezza era naturale e che quindi non faceva uso di trucco, a differenza della maggior parte delle etere dell'epoca. Ermippo di Smirne, scrittore e biografo ricorda che Frine si mostrava sempre in pubblico con un vestito aderente al corpo e non andava mai ai bagni pubblici, creando così una maggiore curiosità collettiva a riguardo del proprio corpo .

"Frine alle feste di Poseidone a Eleusi" di Henryk Siemiradzki
"Frine alle feste di Poseidone a Eleusi" di Henryk Siemiradzki

 Si racconta che solo in occasione delle Eleusinie, celebrazioni in onore di Demetra nel santuario di Eleusi, e delle Posidonie, celebrazioni in onore di Poseidone, scendesse nuda in mare, coi capelli sciolti: secondo alcuni Apelle, pittore greco antico, si ispirò a questa scena per dipingere la sua Venere Anadiomene. Secondo lo storico Diogene Laerzio un giorno Frine tentò il filosofo Senocrate: rifugiatasi nella sua casa, ottenne di dormire nel suo letto, ma non riuscì a sedurlo, tanto che disse di aver dormito non con un uomo, ma con una statua. Frine, essendo donna libera e straniera, secondo le consuetudini sociali dell'Atene dell'epoca poteva arricchirsi e diventare famosa, possibilità di cui si avvalse quando, tra il 364 e il 363 a.C., iniziò una relazione con lo scultore Prassitele secondo gli antichi di natura amorosa, ma forse solo "professionale". Secondo alcune testimonianze antiche, l'artista la usò come modella per la realizzazione della famosa Afrodite cnidia, anche se altri autori antichi sostengono che la modella sarebbe stata un'altra etera amata da Prassitele, Cratine. Di qui alcuni autori ipotizzarono che Prassitele avesse tratto ispirazione dal volto di Cratine e dal corpo di Frine, ma sembra più probabile che Cratine sia semplicemente un'erronea trascrizione del nome Frine. Frine, che secondo lo scrittore egizio Ateneo di Naucrati "era più bella nelle parti che non si vedono", prestandosi a fare da modella a una statua di Afrodite nuda, opera considerata particolarmente scandalosa ad Atene, probabilmente acquisì grandissima notorietà. Secondo Ateneo, Prassitele scolpì due statue su commissione di Frine.

Prassitele
Prassitele
  • La prima raffigurava Eros e fu collocata nel santuario del dio a Tespie, città natale di Frine, assieme a una statua di Afrodite e a un ritratto scultoreo di Frine, molto più piccolo della statua di Afrodite.
  • La seconda, in oro, o, come suggerisce lo scrittore Pausania il Periegeta, in bronzo dorato, raffigurava Frine stessa in piedi e fu posta nel santuario di Delfi, tra due sculture raffiguranti Apollo. Probabilmente posteriore al 346 a.C., epoca nella quale, al contrario di Frine, che, essendo ormai affermata e benestante, faceva parlare della sua fortuna anche i commediografi contemporanei, Prassitele invece era ormai in declino, con la conseguenza che si è ipotizzato che non sia stato lui a scolpire la statua. Qualunque fosse il materiale della statua di Delfi e chiunque l'abbia scolpita, essa era di notevole potenza provocatoria, visto che non era 
"Frine sedice il filosofo Senocrate" di Angelica Kauffman
"Frine sedice il filosofo Senocrate" di Angelica Kauffman

consuetudine erigere statue di etere, tantomeno nei luoghi sacri e "accanto a re e regine". Suscitò dunque grande scalpore in tutto il mondo greco, e specie in quel filosofo anonimo che la definì "monumento all'incontinenza dei Greci". Alceta, storico macedone, mette in evidenza la connotazione politica della statua di Frine collocata a Delfi, ricordando come la stessa recasse sul supporto di marmo la dedica "Frine, figlia di Epicle, tespiese", forse incisa col beneplacito degli aristocratici di Tespie, ma forse voluta dalla stessa Frine. Tale scritta è in grande e provoca contrasto con il fatto che l'opera fosse posta fra la statua del re di Sparta Archidamo III e quella del re di Macedonia Filippo II, entrambi nemici dei Beoti corregionali di Frine e il secondo, per di più, beffato pure dal fatto che Frine fosse legata all'oratore ateniese Iperide, convinto antimacedone. Tracce dell'antimacedonismo di Frine si possono rinvenire anche in un altro aneddoto: Frine avrebbe infatti promesso di finanziare la ricostruzione delle mura di Tebe, dopo che nel 335 a.C. erano state distrutte da Alessandro Magno, purché sulle stesse mura fosse stata apposta la scritta «Alessandro le distrusse, le rifece l'etera Frine» dicitura però non attestata, come pure l'esistenza della donazione. Questa iscrizione ricordava da un lato la crudeltà dei Macedoni nei confronti di Tebe, cui fa riferimento anche Iperide nel suo Epitaffio, mentre dall'altro costituiva una sfida alla tradizione secondo cui i nomi delle etere non dovevano essere incisi sugli edifici pubblici.


"Frine svelata davanti all'areopago"  Jean-Léon Gérome
"Frine svelata davanti all'areopago" Jean-Léon Gérome

Servendosi di un'orazione scritta dallo storico ed oratore Anassimene di Lampsaco, Eutia forse suo ex amante, accusò Frine di empietà, in un anno imprecisato probabilmente posteriore al 350 a.C., ricorrendo a un procedimento giudiziario. L'empietà era un crimine che comportava la pena capitale. I capi d'accusa erano la partecipazione a feste oscene nel Liceo, la promiscuità di tiasi (aggregazione religiosa e di culto) maschili e femminili, l'introduzione di una nuova divinità, la dilapidazione del patrimonio altrui. E' probabile che Eutia evocasse anche l'accusa di corruzione dei giovani, dato che il Liceo era frequentato da molti giovani ateniesi. Queste accuse, poco consistenti dal punto di vista strettamente giuridico, derivavano probabilmente dal celato malcontento degli Ateniesi più tradizionalisti per il comportamento esibizionistico e sfrontato di Frine, che nel frattempo era diventata molto più agiata degli stessi cittadini, al punto di potersi permettere di tenere fra i suoi seguaci, in 

cambio del proprio aiuto economico, addirittura un membro dell'Areopago (l'assemblea degli anziani). Frine fu difesa personalmente dall'oratore Iperide, che per l'occasione compose una delle sue orazioni più famose nell'antichità, la Per Frine. Malgrado l'orazione, Iperide, sentendo la causa persa, avrebbe strappato la tunica di Frine, svelandone il seno davanti ai giudici, che si convinsero della sua innocenza, dato che la bellezza non poteva essere colpevole. Assolta, Frine, venne portata in trionfo fino al tempio di Afrodite, mentre il retore della parte avversa venne cacciato dall'Areopago. Certamente Frine si comportò durante il processo in modo tale da cercare di portare i giudici dalla parte della difesa, come attestato da un frammento databile poco dopo il 290 a.C. e attribuito a Posidippo, contemporaneo del processo, in cui si riporta che Frine supplicò i giudici uno a uno, prendendo loro la mano destra e piangendo. In seguito, sebbene non ci siano scritti anteriori all'età ellenistica e romana che attestino un fatto del genere, emerse una versione dei fatti secondo la quale la difesa (o nella persona dell'accusata, o nella persona di Iperide) non si limitò a questo atto. Iperide, non essendo riuscito a convincere i giudici con la sua orazione, denudò il seno della sua assistita secondo alcune testimonianze riportate, mentre alcuni trattati di retorica anonimi affermano che fu Frine a mostrare spontaneamente il seno; mentre c'è chi riporta addirittura che l'accusata si denudò integralmente e di sua spontanea volontà. Per evitare che si ripetessero casi del genere, dopo il processo fu approvato un decreto in base al quale durante i processi nessun oratore difensore poteva levare lamenti e nessun accusato, uomo o donna, poteva essere esposto davanti agli occhi di tutti al momento del giudizio. L'aneddoto del disvelamento del seno di Frine ebbe grande fortuna nell'antichità, tanto che nelle scuole di retoriche il processo di Frine era uno degli esempi classici di "appello alla pietà fondato sulla vista e non sulla parola, o meglio sulla parola e sulla vista". Si può ipotizzare che il processo avesse un'importanza soprattutto politica, e che i nemici di Iperide, non solo filomacedoni ma anche antimacedoni non estremisti, volessero peggiorare la sua posizione agli occhi della popolazione, attaccando giuridicamente una persona a lui strettamente legata, Frine (che con alcune azioni aveva mostrato il suo antimacedonismo), teoria provata anche dal fatto che uno dei nemici politici di Iperide, scrisse in prima persona un discorso contro Frine e che le accuse mosse da Eutia a Frine fossero vaghezze e pretestuose. Anche se quasi sicuramente l'aneddoto è inventato, è tuttavia accertato che l'etéra venne realmente scagionata, e seppure di lei si persero le tracce appena dopo il processo, l'eco della sua bellezza, divenuta leggendaria, è rimasta nei secoli successivi immutata e forse persino accresciuta