I MISTERI DEL LAGO PANTANO di Stefania CAPITOLO III°

03.08.2020

Capitolo 3

Filippo tornò a casa con la lettera di Nanni infilata nella tasca della giacca, che bruciava come un tizzone ardente tanta era l'angoscia, l'ansia che quell'incarico gli procurava. Sentiva di portare un peso indicibile, una responsabilità enorme. La vita dell'investigatore era nelle sue mani e le sue parole, su quanto grande fosse il MALE che aveva causato quelle morti, lo avevano impressionato, sconvolto. Entrò in casa come se fosse l'unico rifugio sicuro su tutto il pianeta. Sentì sua moglie Nina canticchiare in cucina e la raggiunse, cercando di assumere un'espressione normale ma, dopo 30 anni di vita insieme, lei lo conosceva fin troppo bene per cascarci: le bastò guardarlo in viso per spaventarsi e preoccuparsi. Filippo non provò nemmeno a mentirle, era una cosa che detestava, ancora di più con sua moglie. Le raccontò tutto col timore di spaventarla ancora di più. Invece Nina gli prese le mani fra le sue e gli parlò con tono tranquillo.

- Se il signor Parenti ti ha affidato un incarico così importante, è perché ha fiducia in te. Sa che sei un uomo sul quale si può fare affidamento. Hai sempre agito con coscienza. Sono sicura che al momento giusto, farai la scelta giusta! -

Nonostante le rassicurazioni di Nina, per Filippo fu una lunga notte tormentata. Il sonno non arrivò mai ed il pensiero era costantemente rivolto a Nanni e su cosa stesse facendo. E se fosse stato in pericolo? O magari già moribondo o addirittura morto? E se aspettare 48 ore avesse significato non arrivare in tempo? Forse era già tardi. Si alzò e si vestì, cercando di non far rumore ma inutilmente.

- Esci? - gli chiese lei.

- Ho bisogno di prendere aria. Ho bisogno di schiarirmi le idee e scacciare i brutti pensieri! - le rispose; la baciò e lei lo abbracciò forte, poi lo lasciò andare.

Parcheggiò nel primo posto libero che trovò in centro: non aveva nessuna voglia di starsene chiuso in quello spazio ristretto della sua auto, che pareva soffocarlo. Percorse a piedi tutta via Pretoria, senza nemmeno accorgersi di ciò che lo circondava, di dove si trovasse. Nei pressi di Palazzo d'Errico finalmente si fermò, si sedete ai piedi della statua del Leone rampante di via San Luca, per tirare il fiato e riorganizzare i propri pensieri. L'angoscia lo consumava, il pensiero che Nanni Parenti potesse essere in pericolo di vita lo attanagliava; il dubbio lo tormentava: rispettare le disposizioni dell'investigatore ed aspettare le 48 ore come lui aveva stabilito, prima di intervenire, rischiando che potesse verificarsi una tragedia che avrebbe pesato sulla sua coscienza, oppure rompere la promessa? No, non poteva assumersi quella responsabilità, permettere che quei crudeli assassini colpissero ancora ai danni del suo amico, non se lo sarebbe mai perdonato! E così si ritrovò davanti alla caserma dei Carabinieri senza nemmeno rendersene conto e gli sembrò un segno del Destino, di Dio o del suo subconscio, poco importava! Per Filippo era un chiaro invito ad agire ed agì. Entrò, spiegò chi fosse al Maresciallo che già lo aveva visto più volte col Questore e col Prefetto insieme a quell'investigatore taciturno. Questo gli evitò di dover dare tante spiegazioni sul motivo per cui chiedeva che chiamasse il Questore, per consegnargli una lettera da parte di Nanni Parenti e la frase "si tratta di vita o di morte", mise le ali al destinatario che arrivò in neanche 10 minuti. Filippo gli consegnò la lettera mentre gli spiegava le disposizioni ricevute. Quando il Questore gliel'ebbe tolta fu come se lo avesse liberato da un tizzone rovente dalle mani ma non un peso dalla coscienza. Il Questore lesse una prima volta, poi fissò Filippo negli occhi, poi rilesse di nuovo, pallido in faccia peggio di un morto e Filippo si sentì mancare il fiato in gola per l'ansia crescente che lo attanagliava.

- Presto! Dobbiamo far presto! Tutti gli uomini disponibili, in servizio e non, al Lago Pantano! - ordinò il Questore e diede disposizioni per organizzare un blitz senza precedenti.

Nanni attese che calasse la notte prima di uscire. Tutto era pronto per quell'impresa che lo spaventava più di ogni altra vissuta fino ad allora e sì che, in tanti anni di carriera, ne aveva viste proprio di tutti i colori. Ma quella era diversa: per crudeltà e spietatezza. Uscì di casa verso mezzanotte, le strade erano deserte, incrociò solo poche auto nel breve tratto della pista ciclabile che affiancava la via principale, che portava all'oasi, più avanti. Aveva deciso di andare a piedi per non farsi sentire arrivando e poi, a parte un breve tratto iniziale, il suo avvicinamento all'obbiettivo sarebbe avvenuto dal bosco, contava così, grazie ad una luna quasi inesistente che faticava a penetrare la vegetazione, al suo abbigliamento scuro ed alla circospezione dei movimenti, di arrivare a sorprendere il nemico. Non sarebbe stato facile! Avrebbe dovuto neutralizzare l'uomo, sicuramente il braccio, la forza bruta della coppia e poi sarebbe toccato alla donna che, ne era convinto, fosse la mente diabolica, ma ciò che lo attendeva non se lo sarebbe mai aspettato e tutto, conseguentemente, avrebbero preso una piega diversa da quella auspicata. L'imponderabile corso degli eventi può dar luogo a catastrofi inimmaginabili o, comunque, a fatti le cui conseguenze possono anche essere significative o determinare la vita o la morte di una persona. Nel suo lavoro era accaduto molto spesso, Nanni ne era consapevole eppure non avrebbe potuto immaginare ciò che lo attendeva: l'evento imponderabile era lì, ad aspettarlo e lo colse impreparato! Si avvicinò con cautela alla fatiscente costruzione che, a malapena, si reggeva in piedi a pochi metri dalla casa. Una decrepita autorimessa in legno, chiusa dall'esterno con un paletto. L'investigatore si acquattò sotto l'unica finestra; sporse la testa per gettare un'occhiata all'interno: nella quasi totale oscurità, gli sembrò deserta. Stava per allontanarsi da quella catapecchia, per raggiungere la casa, quando un rumore di passi lo inchiodò sul posto, immobile, quasi senza nemmeno respirare, con l'adrenalina che gli faceva battere il cuore nella gola talmente forte da temere che potessero scoprirlo. Una figura robusta entrò nella baracca e si diresse verso il lato opposto alla finestra; con cautela Nanni si sporse per sbirciare l'interno ma, col buio, riusciva solo a percepire i movimenti dell'uomo. Lo udì bisbigliare qualcosa e gli parve di udire un suono che sembrava un gemito, o forse un rantolo, ma era quasi certo che non appartenesse a colui che aveva visto entrare. La stessa sagoma ritornò sui suoi passi e questa volta Nanni continuò a spiare l'uomo che, il lieve chiarore di una candela che recava in mano, si rivelò essere lo stesso che li aveva spiati dal bosco. Attese, accucciato sotto la finestra, al buio, per qualche minuto che sembrò un'eternità e poi si mosse verso l'entrata della baracca. Le luci nella casa poco distante erano spente ed il buio giocava a favore dell'investigatore che, con estrema cautela per non far rumore, spinse la porta di legno dall'esterno ed entrò, accostandola alle sue spalle. Sicuro che da fuori non si vedesse, accese la pila ed il raggio di luce inquadrò una scena raccapricciante: un uomo nudo aveva le braccia incatenate ad un palo murato nel pavimento; evidenti su tutto il corpo i segni delle torture subite; le gambe erano in posizione innaturale, inermi, sicuramente spezzate come nei cadaveri ritrovati; i lineamenti del viso distorti da una indicibile sofferenza. Distratto dall'orrore che aveva di fronte a sé, notò solo all'ultimo minuto, quando oramai era troppo tardi, lo sguardo del poveretto che, nonostante il dolore, cercava di indirizzare la sua attenzione su qualcos'altro nell'ombra: la sua espressione di terrore fu l'ultima cosa che Nanni vide.

Risvegliarsi con la sensazione di essere stato travolto da un tir sull'autostrada ed avere la certezza di essere sopravvissuto, solo per il dolore terribile alla testa! Questo il ritorno alla realtà di Nanni Parenti. Cercò di mettere a fuoco ciò che lo circondava ma i suoi occhi rifiutavano di obbedire, oppressi da una nebbia di sofferenza. Li costrinse con la forza a vincere la loro giustificata riluttanza e rivide come in un incubo, l'uomo brutalmente seviziato, torturato, che giaceva poco distante, o almeno ne vide i contorni alla tenue luce di una luna che, a fatica, cercava di penetrare l'oscurità che celava quell'orrore. O forse era solo per raccapriccio che si teneva a distanza? Tutto era silenzioso nella baracca, persino l'uomo torturato non si lamentava più, forse era morto pensò l'investigatore e comunque forse erano lì da soli, o la minaccia che prima l'aveva aggredito ancora si celava nell'oscurità? Non aveva molta voglia di appurarlo, anche perché sospettava che una tale eventualità poteva essere fatale ma non poteva nemmeno restare così per sempre, sarebbe stato inutile. Poteva forse prendere tempo, fingendo di essere ancora svenuto, nella speranza che arrivassero i "buoni" a salvarlo e gli tornò in mente la lettera consegnata a Filippo e la raccomandazione far trascorrere 48 ore prima di consegnarla alle Autorità.

"Idiota! Sono un idiota! 48 ore sono un'eternità con questi assassini spietati! Come potevo pensare di riuscire ad arrivare a tanto?! Idiota!"

Era furioso con se stesso e pregò con tutto il cuore che l'amico contravvenisse alle sue disposizioni. Filippo era un uomo di coscienza e forse lo avrebbe fatto, o almeno lo sperava. Doveva restare vivo il più a lungo possibile! Provò a muoversi ma capì subito di avere braccia e gambe saldamente legate. Non aveva idea che ora fosse e non riusciva nemmeno a vedere la finestrella dalla quale aveva spiato l'interno. Chi lo aveva colpito? Sicuramente la donna che, evidentemente, si trovava già nella baracca e si era nascosta quando lo aveva sentito entrare. Aveva commesso troppi errori, ne era consapevole, errori che non sarebbero mai stati possibili in passato: stava invecchiando per quel lavoro, avrebbe dovuto restarne fuori. Cercò di mettere a fuoco la figura umana poco distante: aveva le stesse caratteristiche delle vittime rinvenute in quei giorni ed era anche evidente che, anche le sue gambe erano state spezzate per impedirgli la fuga. Chissà se sarebbe toccato anche a lui la stessa sorte?! Provò un brivido di paura al solo pensiero delle sue gambe inerti, morte e inutili! No, non poteva permetterlo! Doveva pensare, usare la testa, la sua intelligenza di sicuro superiore a quella degli assassini che conoscevano solo la brutalità! E fu in quel momento che la nebbia del terrore iniziò a diradarsi. Vide che c'era stato un cambiamento nelle condizioni dell'uomo storpiato: le sue braccia non erano più fissate alle catene! Ovvio, dove poteva andare così ridotto? Doveva solo sperare che fosse ancora vivo! Cercò di muoversi verso di lui, sperando che i loro aguzzini non saltassero fuori dall'oscurità e allo stesso tempo, che l'altro desse segni di essere cosciente ma non accadde nulla. Tentò ancora di muoversi e per un paio di volte gli rivolse un "Ehi, tu!" sommesso che cadde nel vuoto. La disperazione iniziò a riprendere vigore in Nanni, tanto che ora gli sembrava di sentire sempre qualcuno avvicinarsi alla baracca, o muoversi al suo interno ed allora restava immobile, quasi senza respirare ma i rumori non si ripetevano: era la sua paura a renderli reali ed allora doveva dominarla, neutralizzarla affinché la mente potesse tornare a pensare. Le ore trascorrevano ma lui non aveva la minima cognizione del tempo, né la poca luce che proveniva dall'esterno sembrava poterlo aiutare in ciò. Inoltre era scoppiato anche un forte temporale e quindi era impossibile orientarsi in quell'incubo senza fine. Eppoi li sentì arrivare! Il terrore lo immobilizzò, persino il respiro sembrava essersi fermato. I due si avvicinarono, si fermarono ad osservare i due prigionieri. Nanni avvertì la presenza dell'uomo così vicina da percepirne il respiro.

- Questo è ancora svenuto! - riferì l'uomo.

- E l'altro? E' ancora vivo? -

- Sì ma non è cosciente -

- Non possiamo farlo ora, sta piovendo a dirotto, il terreno non reggerebbe! Tra poco poi sarà l'alba e anche con questo tempo, c'è il rischio che qualcuno veda. Non possiamo rischiare, rimandiamo di una notte e poi ci sbarazzeremo di entrambi! -

Quante ore ancora restavano da vivere? La risposta non aveva importanza per Nanni: sarebbero state sempre troppo poche! Adesso che erano di nuovo soli era il momento di agire. Riuscì a rotolare fino al corpo martoriato dello sconosciuto, abbastanza vicino perché le mani legate dietro alla schiena fossero alla portata delle sue. Lo chiamò più e più volte, finché finalmente l'altro aprì gli occhi.

- Sono un investigatore privato. Mi ascolti attentamente. Deve sciogliere le mie mani, deve aiutarmi a liberarmi se vuole che viviamo, altrimenti ci uccideranno! - l'altro lo fissò con uno sguardo spento, assente tanto che Nanni pensò che non lo avesse nemmeno sentito - Ha capito? Possiamo ancora salvarci! - l'espressione non mutò, per la disperazione dell'investigatore che vedeva morire ogni speranza, ma poi sentì il tocco delle sue dita. Sembrava che il tempo non passasse mai, che il suo compagno di sventura si muovesse con una lentezza esasperante. Nanni era teso come una corda di violino, attento a percepire un qualsiasi movimento che preannunciasse il giungere dei loro aguzzini. Dopo un tempo che gli sembrò interminabile, le sue mani vennero liberate; subito sciolse le corde che gli bloccavano le caviglie e si rimise in piedi. Il sangue, l'adrenalina, tutti i fluidi vitali del suo corpo ripreso a circolare speditamente: adesso doveva rimettere in moto anche il cervello. Non aveva più né la pistola, né la pila quindi doveva trovare qualsiasi oggetto che potesse trasformarsi in un arma per difendersi e lo vide. Gli sembrò quasi di ritrovare un vecchio amico, anche se ovviamente non era lo stesso e non aveva nemmeno la stessa forma o almeno, non del tutto. Era molto più rudimentale: il manico assomigliava ad un vecchio randello mentre la sfera, attaccata ad una vecchia catena arrugginita, era liscia. Non c'era dubbio: era un rudimentale mazzafrusto. Lo prese e poi si avvicinò allo sconosciuto disteso per terra, che trasalì terrorizzato.

- Sono un investigatore, gliel'ho già detto, non sono qui per farle del male, anzi voglio aiutarla. La Polizia sa che sono qui, spero solo che arrivino presto. Intanto mi nasconderò nell'ombra, vicino alla porta. Se dovessero tornare, li coglierò di sorpresa! -

- Mi ... dispiace! Ho visto ... quell'attrezzo ... è quello che... hanno usato ... per le gambe - gli spiegò stringendo i denti per il dolore - Mi chiamo Mario -

- Io, Nanni. Ce la faremo! - Si appostò vicino alla porta ed attese.