IL FILTRO GIALLO - capitolo 2 - di Stefania Bocchetta

18.11.2021

IL FILTRO GIALLO - II° capitolo

Intorno alla ragazza era stato creato un cordone protettivo non indifferente, per evitarle pressioni, ulteriori traumi ed invadenze da parte di profittatori, curiosi e mass media: nessuno poteva avvicinarla senza l'autorizzazione preventiva di uno zio paterno, ma sembrava impossibile contattarlo.

L'avvocato avvertì lo sguardo della ragazza su di sé e le rivolse un sorriso rassicurante, lei contraccambiò con un leggero cenno del capo ma senza mutare l'espressione severa: non piangeva né sorrideva mai.

Era un bella ragazza di 15 anni, di una bellezza semplice e pulita, una giovane donna cresciuta troppo in fretta, passata da un'infanzia felice ad una finta adolescenza; ad accumunarla alle sue coetanee c'era solo la scuola: sognava di diventare psicologa dell'infanzia per aiutare quei bambini nascosti negli angoli bui della vita, dimenticati da tutti tranne che dagli orchi.

"Perché gli orchi esistono, non sono solo invenzioni delle favole o metafore cruente della vita. Hanno carne, ossa, un'esistenza, una famiglia, amici e ... vittime"

Erano capaci di provare sentimenti positivi? Erano capaci di amare? A lei non interessava trovare le risposte, a lei interessava difendere bambini come sua sorella.

"Gli orchi sono tali per scelta, i bambini sono le loro vittime prescelte!"

L'avvocato aveva provato un brivido lungo la schiena a quelle parole, che la giovane aveva pronunciato con tono pacato ma sicuro.

Arrivare alla ragazza non era stato facile. Lo zio aveva disposto un cordone di sicurezza intorno a lei, difficile da superare. Alla fine era stata sua madre, la ex vicina di casa, a scrivere una lunga lettera che aveva fatto pervenire all'uomo e dove venivano spiegati i motivi di quella richiesta: lui le aveva risposto fissando un appuntamento!

Lo zio, imprenditore italiano trapiantato da anni negli Stati Uniti, aveva letto la lettera con interesse crescente e grande emozione ogni volta che la donna ricordava il fratello e gli anni felici che aveva vissuto con le sue bambine. Fu per questo che, nonostante il giovane avvocato non avesse molta esperienza, aveva deciso comunque di incontrarlo, per poi valutare e decidere cosa fare. Si erano incontrati nell'albergo dove aveva preso alloggio, ma non era solo: con lo zio c'era un suo amico, un importante avvocato di Miami.

Il giovane avvocato gli aveva spiegato come era maturata la sua decisione, gli aveva raccontato i ricordi personali che aveva della famiglia della ragazza. Avevano parlato per due ore, senza la percezione del tempo che passava. Poi lo zio americano si era alzato, subito seguito dall'amico, aveva teso la mano per stringere quella del giovane avvocato e gli aveva promesso che entro il giorno successivo avrebbe ricevuto la sua risposta.

- Un'ultima domanda, avvocato, lei ritiene mia nipote colpevole? - gli aveva chiesto improvvisamente, come se fosse un dettaglio trascurabile.

Il giovane aveva riflettuto per un attimo prima di rispondere, guardando dritto negli occhi il suo interlocutore.

- Sua nipote può aver ucciso, e probabilmente è così ma in ogni caso lo ha fatto per difendersi dal suo aguzzino. No, non è colpevole! I colpevoli sono coloro che hanno permesso che accadesse! -

Lo zio aveva colto la sincerità nelle parole del giovane, l'aveva avvertita durante tutta la conversazione e la sua decisione l'aveva già presa, voleva solo confrontarsi con il suo amico americano per esserne sicuro. A cena entrambi avevano convenuto che era la persona giusta per loro. Non aveva molta esperienza ma l'avvocato americano, l'avrebbe affiancato.

Così ora il giovane sedeva nell'aula di tribunale per difendere una minorenne dall'accusa di omicidio del suo patrigno.

Quando l'aveva incontrata per la prima volta nel parlatorio del carcere minorile, l'avvocato era rimasto completamente spiazzato. Aveva visto foto della ragazza sui giornali, ma sempre censurate da una striscia nera che copriva gran parte del viso, vista la sua minore età. Lei aveva lineamenti delicati, ancora adolescenziali, sembrava una bambina troppo cresciuta. Già, cresciuta sicuramente in fretta! Glielo dicevano gli occhi, quei suoi occhi grandi, azzurri come due laghi di acqua purissima ma così profondi, intensi ed immensamente carichi di dolore! Quello sguardo lo aveva sopraffatto ma, al tempo stesso, lo aveva investito della responsabilità di renderle giustizia e lui aveva accettato di farsi carico del suo Destino e del peso di quel dolore, anche se mai avrebbe potuto cancellarne i segni indelebili.

Si era preparato una miriade di domande da rivolgerle ma, come l'aveva vista, era rimasto colpito da quel volto così giovane ma che esprimeva una sofferenza enorme. Lei si era seduta composta e lo aveva osservato attentamente: doveva decidere se poteva fidarsi o no di quell'estraneo, di quel giovane avvocato di poca esperienza.

Lo zio le aveva spiegato che lo avrebbe guidato l'avvocato americano, che non lo avrebbero di certo lasciato solo a difenderla in quel processo, ma non era questo che l'aveva convinta. No, decisamente no! Era stato il sapere che il giovane proveniva dal suo passato felice, faceva parte dei ricordi dell'infanzia spensierata, era stato il modo in cui lui le aveva parlato di come sua madre ricordava lei e sua sorella. Era stata la sincerità dei suoi occhi, del suo viso a convincerla che sì, poteva fidarsi di lui! Francesco le aveva solo chiesto di raccontare cosa era accaduto. Lei aveva iniziato, con tono sommesso, un racconto di anni di abusi subiti nel silenzio omertoso di una madre incapace di difendere sua figlia, negando l'evidenza, giungendo persino a ritenerla responsabile di tutto. Poi lui le aveva chiesto se si ricordava di quando vivevano vicini di casa; lei aveva annuito: ricordava la signora Anna che regalava caramelle a lei e a sua sorella quando si incontravano. Era stato quello l'unico momento in cui gli occhi di lei, così carichi di dolore, le si erano riempiti di lacrime, quando aveva ricordato il padre e gli anni spensierati vissuti con lui.

L'avvocato era riuscito a parlare, per breve tempo, anche con la sorella minore della sua assistita, una dodicenne minuta, graziosa, i capelli neri e gli occhi scuri e tristi su un visetto da bambina.

La piccola Laura aveva confermato che il patrigno era un uomo violento, che la spaventava molto ma, di quella terribile sera non ricordava nulla. Lo zio non la lasciava mai e aveva assunto una psicologa che la seguiva costantemente, la quale riteneva che l'amnesia era sicuramente dovuta allo shock per il trauma vissuto e poteva anche rivelarsi permanente. Francesco non insistette. Inoltre lo zio Joe aveva intentato causa contro la cognata per ottenere l'affidamento esclusivo delle nipoti e molto sarebbe dipeso da quale immagine della donna sarebbe uscita nel corso del processo per omicidio. Una doppia responsabilità per il giovane avvocato che avvertiva fortemente il peso che gravava sulle sue spalle: il destino di entrambe le ragazze! Quando si ritrovava da solo, soprattutto la sera, dopo aver studiato per ore gli incartamenti, quando la stanchezza prendeva il sopravvento, si chiedeva spesso se fosse all'altezza di quel compito o se la sua inesperienza avrebbe compromesso tutto. Fortunatamente Joe Carlini e l'avvocato Carpenter erano due rocce indistruttibili, alle quali aggrapparsi, due forze della natura che irradiavano energia, calore e fiducia senza limiti e con questa carica Francesco si ritrovò ad affrontare l'interrogatorio di Elvira, la madre della sua assistita.