IL FILTRO GIALLO - capitolo 3 - di Stefania Bocchetta
IL FILTRO GIALLO - III° capitolo.
Il viso impassibile, un'espressione imperscrutabile, vestiti ordinati ma dimessi, i capelli raccolti, le labbra strette in una morsa di dolore, dimostrava dieci anni di più rispetto alla sua età: precocemente invecchiata, come precocemente era cresciuta sua figlia. Tutto in lei sembrava trasmettere dolore e sofferenza, tranne gli occhi: freddi, distaccati non cercavano mai quelli del proprio interlocutore, ma ancora di meno quelli della ragazza contro la quale si accingeva a testimoniare.
"Una maschera! Sta indossando la maschera della brava moglie e madre sfortunata! Devo abbattere il muro che si è creata intorno per proteggersi e rivelare le sue vere responsabilità" si era ripromesso Francesco.
La teste stava seduta composta al banco dei testimoni, Francesco le si avvicinò lentamente come contando i passi che li separavano. In realtà stava studiando le espressioni del viso tirato, contratto da piccoli spasmi, i movimenti nervosi delle mani strette l'una nell'altra così forte che le dita erano sbiancate, erano tutti particolari che a Francesco non erano sfuggiti e che voleva sfruttare a proprio vantaggio. Era sicuro del finto autocontrollo della donna, come era sicuro che la figlia non le avrebbe mai tolto gli occhi di dosso e che in quello sguardo ci fosse davvero dolore, il vero dolore.
- Buongiorno, signora Carlini- e si prese una pausa che accentuò il nervosismo della donna che rispose con un lieve cenno della testa - Vuole dirci, per cortesia, in quali rapporti era con il defunto Armando Conti? -
Francesco era ben deciso a non definirlo mai, per tutta la durata del processo, come la "vittima". Non era quello il suo ruolo: in tutta quella storia non era lui che lo aveva ricoperto ma quella giovane donna della quale era stato l'aguzzino!
La risposta della teste fu quasi un sussurro.
- La prego di parlare più forte, non abbiamo capito - insistette Francesco, con una cortesia che era ben lungi dal provare.
- Era il mio compagno - rispose lei con voce tremula.
- Essendo il Conti regolarmente sposato, direi amante - la corresse benevolo.
- Stava per divorziare ... -
- Non ci risulta, signora Carlini, che sia mai stata presentata alcuna richiesta, nemmeno di separazione! -
- Non ne ha avuto il tempo ... -
- Non ne ha avuto il tempo, signora Carlini?! Da quanti anni durava questa vostra, diciamo "frequentazione"? - Francesco era diventata incalzante.
- Da 5 anni, circa ... -
- E in 5 anni il suo amante non ha trovato il tempo per chiedere il divorzio dalla moglie?! Doveva essere un uomo molto impegnato! Anche se non sappiamo a far cosa, visto che non lavorava che saltuariamente, anzi direi molto saltuariamente! -
- Obiezione! - urlò la controparte.
- Accolta! Avvocato si astenga dal fare commenti personali! - lo rimbrottò il Giudice ma con poca convinzione: bene, era il momento di cambiare i toni.
- Signora Carlini, come ha conosciuto il suo amante? -
- Non ... non ricordo ... è passato tanto tempo ... - era chiaramente infastidita, probabilmente dal fatto che l'avvocato rimarcasse la loro condizione di adulteri con il quale Francesco voleva metterli in cattiva luce.
- Non ricorda ... bè, cinque anni non sono poi molti o possono essere un'infinità di tempo, dipende da come vengono vissuti, suppongo. Se non sbaglio, lei era vedova - lei annuì.
- Avevo perso mio marito da due anni -
- Sì, lo ricordo suo marito. Eravate nostri vicini di casa. Una bella famiglia. Lei, suo marito e le vostre bambine sempre allegre e sorridenti. Giocavano sempre con il padre -
- Sì, eravamo felici -
- Obiezione! Domanda non pertinente! Non interessa a questa Corte quanto accadeva dieci anni fa o come viveva la teste prima di conoscere la vittima! - urlò la controparte.
- Non ho posto alcuna domanda alla teste. E' solo una considerazione con la quale vorrei far conoscere a questa Corte, il contesto in cui è cresciuta la mia assistita! - ribatté calmo ma con fermezza Francesco.
- Respinta! Proceda avvocato -
Francesco mosse qualche passo, con la mano si accarezzava il mento meditabondo: sapeva perfettamente cosa chiedere alla teste ma, con quell'atteggiamento di attesa, sapeva anche di innervosirla molto.
- Una famiglia felice che di colpo ha perso il suo caposaldo: suo marito. Come reagirono le sue figlie? - Elvira si torceva le mani smarrita - Non ha compreso la domanda? -
- No... cioè sì... è che non avevo molto tempo per seguirle. Dovevo lavorare. Loro andavano a scuola, poi tornavano e facevano i compiti -
- Lei lavorava tutto il giorno? - insistette Francesco.
- Bè, sì. Dovevo lavorare per mantenerle! - rispose lei con un tono risentito che le fece risollevare la testa.
- Immagino, quindi, che le sue bambine restassero da sole in casa per molto tempo. Quanti anni avevano alla morte del padre? 5 e 2 anni? E lei le lasciava a casa da sole? -
- Noooo - gridò lei - all'inizio mia madre ci ha dato una mano. Guardava lei le bambine mentre io lavoravo. Vivevamo con lei -
- Fino a quando, signora Carlini? -
- Non so, non ricordo con esattezza.... Per 3 o 4 anni, credo -
- Lasci che l'aiuti a ricordare. Diciamo fino a quando sua madre scoprì che lei era diventata l'amante di Armando Conti e disapprovava la vostra relazione. Quindi lei prese le bambine e se ne andò a vivere per conto suo, nella casa dove il Conti prese a convivere con voi per periodi sempre più lunghi, è così signora Carlini? -
- Mia madre era solo una vecchia bigotta... - protestò lei.
- No, sua madre aveva capito in quale situazione ambigua si stava mettendo. Non le piaceva il suo amante e la supplicò di lasciarle le bambine, ma lei non volle e le obbligò a convivere con un uomo brutale. Avevano 7 e 4 anni! -
- Obiezione! - urlò la controparte.
- No! - gridò Elvira - Armando voleva bene alle mie figlie e se ne prendeva cura mentre ero al lavoro! -
- Sì, voleva talmente bene alle sue figlie che iniziò a molestare quella bambina! - Francesco puntò il dito sull'imputata - Quando aveva solo otto anni mentre lei, signora Carlini, era talmente presa dalla vostra relazione da non preoccuparsi minimamente di cosa provassero le sue figlie dopo aver perso il padre. Era troppo presa dal pensiero di guadagnare soldi per mantenere il suo amante e la paura che lui la lasciasse, per occuparsi di due bambine che erano già rimaste orfane del loro amato padre, non è così signora Carlini? -
- Noooo! Armando non ha mai fatto del male alle mie figlie, sono bugie. Lui era buono con loro! - gridò Elvira sconvolta.
- Sua figlia, quella bambina che è seduta su quella panca, non venne da lei a dirle che il suo amante la molestava? Non le disse che la toccava nelle parti intime e che le prendeva la mano per... -
- Noooo! Era lei che lo provocava. Era gelosa del fatto che Armando avesse preso il posto di suo padre - portandosi le mani a coprire le orecchie per non sentire quei dettagli scabrosi, Elvira aveva interrotto Francesco ma lui non mollava la presa.
- Sua figlia è lì! La guardi! Glielo dica guardandola negli occhi che da quando aveva otto anni provocava il suo amante perché era gelosa. Otto anni! La guardi, signora Carlini e glielo dica! - le ordinò ma non accadde: mentre la ragazza continuava a tenere lo sguardo carico di dolore su sua madre, quest'ultima scattò in piedi, puntò il dito verso la figlia e senza mai guardarla urlò:
- E' tutta colpa sua! L'ha ucciso perché era gelosa, è solo una sgualdrina! -
- Era lei, signora, l'amante dell'uomo che ha usato violenza sessuale su sua figlia da quando era solo una bambina e con il suo tacito consenso! La parola "sgualdrina" pronunciata da lei.... Ho finito signor Giudice! -
Nell'aula era sceso un silenzio pesante, si udiva solo il respiro affannoso di Elvira che si era accasciata di nuovo sulla sedia. Il Giudice teneva il capo basso, profondamente colpito. Non aveva nemmeno replicato al tentativo di obiezione dell'accusa.
- Mi oppongo! - ripeté questi nel silenzio generale.
- A cosa si oppone, Avvocato? - sospirò il Giudice rialzando uno sguardo carico di sdegno - Se non ci sono altre domande, la teste si può ritirare -
Elvira lasciò l'aula a capo chino. Francesco sapeva di aver incassato un bel punto a favore della sua assistita, ma non ne era contento: sapeva di averle provocato un dolore indicibile!
Vedere sua madre deporre contro di lei, era stata davvero una sofferenza terribile. Sentirla urlare quella parola orrenda, con tutto quell'odio, l'aveva straziata nel più profondo del cuore, dell'anima.
Lo zio Joe l'aveva capito subito in aula, per questo aveva chiesto un colloquio urgente con la nipote e ora era lì protettivo, carico di affetto.
- Ci sono io piccola, non avere paura. Sei stata coraggiosa. Tua madre non è più lei da quando ha perso tuo padre. Non è più quella persona, non è mai stata una donna forte. Tu sei come ilnmio povero fratello. Se solo avessi immaginato... my darling! Sarei venuto ad aiutarvi. Potrai mai perdonarmi? -
- Zio, prenditi cura di mia sorella. Fa che non diventi come lei. Portala via da qui. Un'altra vita, un altro mondo. Deve dimenticare tutto questo -
- Lo farò, te lo prometto e mi prenderò cura anche di te. Vivrete con noi, nella nostra villetta. Abbiamo anche un bel giardino, sai? Ti piacciono i cani? Ne abbiamo due e anche un gatto -
- Non ho mai avuto animali, mi piacerebbe tanto averne - rispose lei.
- Bene, ora li avrai! Avrai feste di compleanno, potrai studiare, avere amici, andare ai party, bei vestiti ed un giorno mi dirai "zio Joe, c'è un ragazzo che vorrei farti conoscere" ed io farò finta di essere severo, perché dovrà essere all'altezza della mia dolce e bella nipotina! - sorrisero entrambi, gli occhi lucidi per l'emozione - Avrai una famiglia, mia coraggiosa bambina, e tanto affetto, questo è sicuro! Tua zia e i tuoi cugini vi aspettano a braccia aperte! -
Si abbracciarono ancora e quando il Tribunale decretò l'affidamento di Laura allo zio, sentirono di aver compiuto il primo passo verso una nuova vita.