LEGGENDE UMBRE: LE LEGGENDE DI ALVIANO

22.09.2025

IL PIAN DELLA NAVE

La minaccia della conquista da parte dei romani aveva portato Etruschi e Umbri ad unirsi per difendersi dal nemico comune: venendo dalla sponda destra gli Etruschi e dalla sinistra gli Umbri, si incontrarono là dove oggi termina il lago d'Alviano, all'altezza della diga, dove anche all'epoca il fiume faceva un salto e presero una la barca per andare incontro al comune nemico.
L'imbarcazione, stracarica, ebbe danni nelle rapide e si arenò tra la melma e le giuncaie, i Romani, che avevano risalito il Tevere da Orte e l'aspettavano pronti, fecero strage dei combattenti del luogo.
Si levarono allora dalle sponde del fiume grida e pianti di vecchi, mogli e bambini che avevano visto morire i propri cari e l'indipendenza della patria.
E così, ancora oggi, quella battaglia e quel luogo sono ricordati come "pianto della nave", e la zona si chiama appunto "Pian della nave".

Assassinio di Cicerone
Assassinio di Cicerone

LA TESTA DI CICERONE

Caio Popilio Lenate era un tribuno romano, inviato da Antonio per uccidere Cicerone. Lo raggiunse presso la sua villa di Formia e gli tagliò la testa, che poi nascose dentro ad un sacco.
Popilio tenne con sé l'orrendo trofeo e fuggì, imbarcandosi sul Tevere, fino a raggiungere il piccolo villaggio, Albianum, dove si stabili in una villa, presso il podere chiamato da lui Popiliano. Tra le canne trovò una caverna, e lì nascose il sacco con la testa di Cicerone. Lì morì all'improvviso mentre stringeva convulsamente il sacco, e lo seppellirono sul luogo senza riuscire a staccarglielo dalle mani.
I secoli passarono, e circa 1000 anni dopo arrivarono dei monaci da Soratte e dal Cimino, che fondarono a Popiliano un monastero in onore di San Silvestro. I monaci, ben presto, cominciarono a sentire voci misteriose, a vedere segni strani, nessuno voleva più camminare nei corridoi di notte, perché spesso appariva una luce di una lampada a forma di teschio, tenuta in mano da uno scheletro.
Un giorno, il priore del monastero trovò per caso una pergamena e, grazie ai suoi studi, gli parve che si trattasse di un testo di Cicerone: appena scese nella cripta di San Silvestro, le luci si spensero con una folata di vento e sentì un ululato che lo immobilizzò dal terrore.
Apparve sull'altare lo scheletro, che teneva la lampada-teschio per il collo, come se volesse strangolarlo: il teschio aprì la bocca e con un rantolo disse "Causa causarum, miserere mei!", la stessa frase che il priore aveva letto sulla pergamena, e che Cicerone aveva pronunciato al momento della sua morte.
Il povero priore ebbe solo il tempo di alzare la mano per fare il segno della croce verso il teschio, prima di morire dalla paura.
Quando sono stati fatti gli scavi di Popiliano, tra il tanto materiale rinvenuto c'era una tomba con dentro uno scheletro intero, ben conservato, che stringeva tra le mani un teschio mummificato, con occhi spalancati e bocca aperta, dalla quale si intravede una lingua che sembra viva.

Donna Olimpia Maidalchini Pamphili
Donna Olimpia Maidalchini Pamphili

DONNA OLIMPIA MAIDALCHINI

Legata a questo castello è la leggenda di Donna Olimpia Maidalchini, chiamata dispregiativamente Pimpaccia, patrizia romana di grande potere e pessima fama.
Grazie a lei, si dice, il cognato riuscì a varcare il Soglio Pontificio col nome di Innocenzo X Pamphili, ed Olimpia accompagnò poi tutta la sua carriera, tanto che l'enorme ed indiscussa influenza che essa aveva alla corte papale le valsero il soprannome di Papessa.
Pare che ad Alviano Olimpia avesse l'abitudine di attrarre giovani ragazzi nel castello, facendosi riportare il fazzoletto che le era subdolamente caduto dalla finestra e, dopo aver offerto loro vino e cibo, ed aver soddisfatto i propri piaceri carnali, li gettava in trabocchetti nei sotterranei del castello, dove mille coltelli li trafiggevano e di loro nessuno sapeva più niente.
Forse non è solo una leggenda, che ossa e coltelli, nei sotterranei, sono stati trovati veramente.