L'UOMO E' CACCIATORE? di Luigi Lucaioli
L'UOMO E' CACCIATORE?
Me lo sono sempre chiesto. Quante volte nel corso degli anni ho sentito questa frase: "l'omo è cacciatore"! E la cosa che più mi meravigliava era che a pronunciarla fossero donne che erano state tradite. Qualcuno crede, ancora oggi, che sia così. Per esperienza personale posso dire che non l'ho mai riscontrato anzi, ho verificato il contrario e quando sento qualche maschio alfa dire:<<L'ho conquistata>> (nel dialetto popolare era: l'ho rimorchiata) mi viene da sorridere col rischio di offendere la loro mascolinità. Adesso molti uomini mi odieranno, ma se sono onesti con loro stessi, sanno che, con certi atteggiamenti, frasi e comportamenti sono le donne che ci fanno capire se possiamo avvicinarci a loro. Purtroppo l'ignoranza, la mancanza di educazione in merito, visto come scrivevo sopra "l'uomo è cacciatore", spesso un solo sorriso (a volte neanche quello), fa sì che il cosiddetto maschio alfa assuma un comportamento da Bestia, nei confronti della donna. Ma non voglio parlare di questo, non sono né un antropologo né un sociologo. Voglio raccontare la mia esperienza da giovane, molto riservato e timido, poi da "grande" dopo l'insegnamento di una donna che mi ha fatto maturare come uomo.
Dicevo, dunque: prima perché timido, poi perché non mi è mai piaciuto importunare le donne, non mi sono mai sentito un "conquistatore". Voglio raccontare la mia storia, parafrasando la poesia del grande Totò "Me ne uscivo da casa, tomo tomo, per andare al lavoro ", spero non me ne voglia. Mi piaceva recarmi al lavoro a piedi, erano solo 5 km che facevo la mattina presto, alle 6:30. Anche perché con l'auto avrei dovuto, oltre al traffico, sclerare per il parcheggio in centro. Mi astengo volutamente dallo scrivere nomi e luoghi, anche perché è il fatto stesso che voglio raccontare, senza coinvolgere terze persone.
Ogni mattina, alla stessa ora, una ragazza con passo svelto percorreva la mia stessa strada: andava alla stazione per prendere il treno, mentre io, con calma, mi fermavo a prendere il caffè al bar (sempre creduto fosse più buono di quello di casa). In una di quelle solite mattine, uscendo dal portone, vidi la ragazza camminare con passo più accelerato del solito, perché un "pappagallo" la stava importunando seguendola con la sua auto. Mi innervosii, dispiaciuto per lei e indispettito come uomo, perché dovevamo sempre farci riconoscere come "provoloni" o "galletti" che dir si voglia. Fu un attimo, senza riflettere mi ritrovai ad attraversare la strada e ad apostrofare il soggetto. In termini civili gli dissi di smettere di importunare la ragazza.
Letteralmente in gergo:<<La pianti de rompe li cojoni a una che sta' a annà a lavorà? Che te credi, esce de casa a quest'ora pe' la bella faccia tua?>>
Non so se se mi avesse visto alterato o pensasse fossi un parente, il tipo si allontanò e da allora non lo vidi più. Passò qualche mese, neanche ricordavo quell'episodio, una mattina mi chiamò il mio direttore e mi presentò la nuova assunta stagionale.
Lei si rivolse a me:<<Piacere e grazie per l'aiuto che mi desti quella mattina>> e alla mia espressione come di chi casca dalle nuvole <<Quando cacciasti quel tizio in auto che mi stava importunando ...>>
Rammentai subito l'episodio. Devo dire che l'avevo sempre vista di spalle. Non era niente male. Seppi poi che aveva 30 anni, divorziata con una figlia. Che fosse divorziata lo si poteva anche intuire soltanto dai comportamenti dei miei colleghi. Sembrava una gara fra "mosconi" a chi riuscisse a posarsi sul miele. A turno li vedevo gironzolare intorno a lei con le scuse più banali. Io invece avevo avuto pochi scambi di parole, se non inerenti al lavoro ma lei, seppi dopo, si era incuriosita del mio comportamento: benché fossi sigle non mi ero impegnato a "conquistarla".
Fu lei stessa, una sera, a rompere il ghiaccio chiedendomi:<<Hai qualche impedimento o ... gusti "strani"? Perché so che sei libero ma non fai come i tuoi colleghi, eppure di donne che lavorano qui ce ne sono molte>>
Non avrei neanche voluto rispondere a quelle domande, ma come tutti i "maschietti", mi sentii punto nel mio orgoglio di uomo
<<Prima di tutto, non ho gusti "strani"; secondo, non mi piace comportarmi come i miei colleghi, dovresti averlo capito da quella volta del tizio che ti molestava (ma anche grazie all'insegnamento di una donna che ha attraversato la mia vita, ma questa sarà la mia prossima storia e le darò il nome di Antonia). E poi non ho il fisico da macho-man. E' dalle 7:00 di questa mattina, ora sono le 21:00, che lavoro. Ora vado a casa, neanche cucino, un pomodoro spaccato e buona notte>>
Fu tre sere dopo che notai le sue manovre per rimanere per ultima a consegnare il resoconto della giornata. Indispettito pensai "Ecco, sta aspettando per potermi parlare, per farsi un po' di affari miei". Seppi poi che aveva chiesto informazioni ad una sua collega. A me invece non chiese niente e appena firmata la distinta:<<Vieni a cena da me?>>
Stavo per risponderle "grazie, no" (mi sarei dovuto imbarcare in una motivazione che non avrebbe creduto, allo stesso tempo pensai che non stavo facendo niente di male e che non ferivo nessuno).
<<Perché no?>>
<<Bene, allora uscita da qui ti aspetto alla fermata del bus, non vorrei crearti problemi>>
Espletai le mie mansioni come un automa, mi sentivo come un ragazzetto alla sua prima esperienza. Detti la buonanotte al mio superiore e, salito in auto, tergiversai aspettando che partisse prima lei. Appena N (uso solo la sua iniziale) mi disse l'indirizzo partii, non ci dicemmo niente fin quando arrivammo. Viveva in un monolocale molto ben arredato, mi fece accomodare sul divano.
<<Mi faccio la doccia prima io, così poi mentre ti lavi, preparo la cena>>
Vi aspettate che vi racconti di una notte di fuoco? Sbagliato, aprii gli occhi che erano le 7:00 di mattina e io avrei dovuto essere già al lavoro.
Partii insalutato ospite, non mi ero né lavato né cambiato; mezz'ora di ritardo e la battute dei miei colleghi che per mia fortuna erano limitate al fatto che lavoravo troppe ore al giorno, cosa che facevo anche per riempire le mie giornate vuote. Troppo intento a recuperare il tempo perso, non mi ero reso conto che erano le 9:00 di mattina, l'orario in cui N timbrava il cartellino.
Quando la vidi venirmi incontro, d'istinto cambia direzione, non so se per vergogna per la nottata o timore che mi dicesse qualcosa davanti ai miei colleghi. Ci pensò lei a togliermi dall'imbarazzo
<<Tranquillo, può succedere quando si lavora troppo. Ci riproviamo stasera>>
Tutto il giorno, anche quando ci incrociavamo, non ci scambiammo neanche una parola. Da quella sera iniziò la nostra storia, di puro sesso all'ennesima potenza. Non mi inoltrerò nei dettagli, per non stimolare pensieri pruriginosi. Vi dirò soltanto che mi dette le chiavi di casa con queste parole:<<Quando vuoi, non ho legami né problemi, puoi venire in qualsiasi momento. Al massimo ci troverai mia figlia in questo periodo che le scuole sono chiuse, ma poi starà a casa della nonna, vicino alla scuola e a tutte le sue compagnie. A lei dirò solo che ora ho un "fidanzato" che per lavoro non può vivere con me>>
Rimasi interdetto, stupito da quelle parole ma, al tempo stesso, sentii che era sincera. Malgrado dopo la mia storia con Antonia, quando avevo 17 anni (ne erano passati 8), avessi avuto più delusioni che piacere, ebbi fiducia e inizia la mia storia con N.
Vabbé, non prendetemi per moralista o bacchettone, vi dirò che con N ho provato emozioni, sensazioni che non pensavo di poter trovare. Devo confessare che non sono mai stato uno "stallone", ma con N, sarà che ero molto giovane, ho passato delle notti intere, salvo poi il giorno dopo rallentare di molto le mie prestazioni lavorative, delle quali non mi accorsi solo io, ma anche i miei colleghi e i miei diretti superiori. Perciò decisi di rallentare quel ritmo e qualche sera, dopo cena, uscire per un gelato, una passeggiata sul lungomare e, a mezzanotte, tutti a nanna. Rivado con la memoria a quei giorni, belle serate, qualche volta in pizzeria, gelateria, amici ecc. .. ma sempre e comunque solo serate. Forse è per questo che, anche se mi stavo affezionando a lei, decisi di interrompere la relazione.
Le parlai e le dissi sinceramente tutto. Solo allora lei si aprì completamente.
<<Sinceramente speravo che tu mi chiedessi di andare a vivere insieme. Mi sono innamorata di te fin dai primi giorni, ma questo non deve impedirti di vivere la tua vita. Ti auguro il meglio>>
Mi baciò, le lasciai le chiavi che mi aveva dato, me ne andai con un senso di amaro e la sensazione di aver fatto la scelta sbagliata. La beffa di tutto ciò? Di non aver detto tutto da parte mia, molto tempo prima. Avevo avuto timore di invadere la sua vita, convinto che le piacesse quel tipo di relazione. Molte volte ero stato sul punto di chiederle di vivere insieme e invece ....
Non rimpiango nulla, per chi mi legge, spero che serva di lezione: apritevi sempre, nel bene o nel male, dirsi sempre tutto è l'unica regola che va bene in una storia d'amore. Io l'ho imparato dopo diversi passaggi degli "anta" ma se lo fate entro gli "enta" affronterete la vita serenamente.