MARIANNINA COFFA: poesia e libertà.

16.09.2020

MARIANNINA COFFA

Mariannina Coffa è nata a Noto il 30 settembre 1841 dall'avvocato Salvatore Coffa, un liberale impegnato nelle vicende politiche del Regno di Napoli, e da Celestina Caruso. Dopo aver ricevuto una prima istruzione a Noto, nel 1851 passò al collegio "Peratoner" di Siracusa, dove iniziò a comporre le prime poesie d'occasione. Considerata un precoce talento poetico, fu affidata al canonico Corrado Sbano, che nel limitato ambiente culturale della cittadina, passava per essere un'autorità nel campo delle lettere e un facile verseggiatore, perché la indirizzasse nelle letture, le suggerisse i temi delle composizioni e le correggesse la tecnica di versificazione.

Naturalmente, don Sbano le consigliava letture cattoliche e sorvegliava che i temi delle sue poesie rifuggissero da quelli tipici degli «autori esagerati e intemperanti», come li definiva lui, così da essere poi accusato di aver corrotto e soffocato le naturali tendenze della giovanissima artista, portata a un'effusione sentimentale di matrice schiettamente tardo-romantica, e di averla nutrita di una disordinata miscela di autori classici disparati. Pur contravvenendo sovente ai divieti del maestro, la Mariannina ne era comunque profondamente influenzata, quindi le sue trasgressioni si limitavano a disordinate incursioni nella terra proibita dell'eccesso passionale e sentimentale.

I successi poetici della bambina si espressero nelle improvvisazioni tanto apprezzate nella arcadica «Accademia dei Trasformati» di Noto, cui fece parte dal 1857 con il nome di "Ispirata" e fece parte dal 1858 anche dell'«Accademia Dafnica» e di quella degli «Zelanti» di Catania, pubblicando nel 1855 la raccolta "Poesie in differenti metri", e successivamente i "Nuovi canti" nel 1859. Nel 1863 con lo stesso titolo "Nuovi Canti" apparvero in altra edizione a Torino.

A completare la sua educazione artistica la famiglia le fece impartire dal 1855 lezioni di pianoforte dal giovane Ascenso Mauceri, del quale finì per innamorarsi fino a progettare il matrimonio, con l'iniziale assenso della famiglia che tuttavia cambiò idea, obbligandola a sposare, l'8 aprile 1860, un ricco proprietario terriero ragusano Giorgio Morana.

Trasferitasi con il marito a Ragusa nella casa del suocero, iniziò una vita fatta di gravidanze annuali, ma due dei quattro figli morirono ancora neonati, e della difficoltà di scrivere a causa dell'ostilità dei parenti a un'attività che essi ritenevano riprovevole, addirittura strumento di perdizione. Scarsa consolazione le venne dalla corrispondenza con l'ex-fidanzato, che le rimproverava di aver subito il matrimonio, al quale descriveva la miseria della sua esistenza: «Se sapeste quanto soffro allorché mi è necessario prendere la penna! Gli occhi severi e maligni di mio suocero mi seguono come per fulminarmi [...] Egli, il mio onorando suocero, non fece apprendere alle sue figlie il leggere e lo scrivere, appunto perché non fossero disoneste o cattive donne di casa».

Intrattenne rapporti epistolari anche con poeti e scrittori e, per i fibromi all'utero di cui soffriva, conobbe il medico omeopata catanese Giuseppe Migneco, cultore del magnetismo animale e massone cha la introdusse nella "Loggia Elorina": si trovano, nelle poesie di questo periodo, riferimenti ai suoi nuovi credi misteriosofici.

Lasciata la casa del marito, si trasferì a Noto per seguire le cure del medico Bonfanti: fu questi a ospitarla dopo che i genitori la cacciarono dalla loro casa, scandalizzati dal suo comportamento. Nelle sue ultime lettere la Mariannina espresse tutta la sua violenta esasperazione nei confronti di quanti, genitori, marito e parenti, imponendole la loro volontà e impedendole la libera manifestazione della sua personalità, le avevano rovinato la vita. Nelle lettere e nei versi di questi ultimi anni lievita un'esasperazione sempre crescente, che talora giunge a toccare i vertici della ribellione blasfema. A Noto la Mariannina si spense il 6 gennaio 1878. Finirà i suoi giorni della sua breve ed intensa vita tra la fame, la miseria e la sofferenza; qualche mese prima di spegnersi le fu strappato anche il figlio e in quella occasione scrisse delle lettere dove urlava la sua volontà di divorziare e la sua esasperazione contro la famiglia ed il marito. Nonostante la reputazione di "poetessa maledetta" fu proclamato lutto cittadino, ai funerali non fu presente nessuno della sua famiglia invece una folla di autorità e gente comune accompagnò il feretro per le vie di Noto e fu innalzata una statua in suo onore.

Farfalla innamorata

Ch'ergi le penne oltre le vie del sole
pel tuo foco medesmo inebrîata,
sibilla arcana per le tue parole,
se il mistico pensiero
che di cielo ti veste opra è del Nume,
anch'io piango... ti adoro... e grido anch'io:
- Ecco un baleno dell'eterno vero,
ecco una fiamma dell'etereo lume,
ecco la creta che sospira a un Dio! -Se l'anima potesse
varcar la meta che le diè natura,
e gir soletta a quelle plaghe istesse
da cui ne venne immacolata e pura,
per gli occhi onde riveli
fiamma cotanta io la vedrei rapita
peregrinante a le commosse sfere,
e direbbe al pietoso astro de' cieli:
deh, riprendi i miei sogni e la mia vita,
ma non torni alla terra il mio pensiere!-No, non fuggir... consenti
che teco io sugga l'armonie passate,
e l'ebrezza dell'alma e i voli ardenti
che mi fero in un gaudio amante e vate.
Lascia ch'io beva il riso
di tue movenze allor che ti favella
lo spirito accenso per virtu del core:
lascia ch'io m'erga al sospirato eliso,
ch'io voli in grembo a la perduta stella,e gridi al mondo: - L'anima non more! -